Isabella Deganis / donna, tra arte ricerca sperimentazione

Conversazione con Ivana Bonelli e Marina Giovannelli

Francesca Agostinelli

(…) La DARS sta facendo ricerche sui linguaggi dell’arte. In realtà noi tentiamo di capire se è, se sarà possibile calare esperienze di vita, di cultura e di sensibilità che portano il segno del femminile nei linguaggi d’arte corrente, visto che sono stati inventati dal segno opposto e ad esso destinati.
Dora Bassi, 1989

Gli anni settanta stanno finendo quando una nuova voce compare nel sistema culturale friulano. Sono donne, si riuniscono, attivano laboratori interdisciplinari, organizzano incontri, mostre, convegni. Dibattono la questione di genere. A breve si costituiranno in comitato e avranno un nome: nel 1984 si chiameranno D.&A. La Donna e l’Arte e poi D.A.R.S., Donne Arte Ricerca Sperimentazione. Oggi, a distanza di quasi 40 anni, con questo nome il D.A.R.S. è conosciuto. Isabella Deganis, cui è dedicato questo volume, ne fu presidente per 20 anni, seguendo nel 1991 a Dora Bassi, fondatrice e altissima portavoce del comitato.

Ne parliamo con Ivana Bonelli e Marina Giovannelli, testimoni del gruppo.

F.A._ Ivana, so che da quando c’è il Dars tu ci sei.

I.B._ Possiamo dire di sì, io entro negli anni ottanta e del Dars faccio parte da allora. Ricordo bene quando sono arrivata e l’entusiasmo della mia prima collaborazione: era Il tempo rubato, un progetto che parlava di come le donne dovessero “rubare” il tempo dedicato alla cura degli altri per pensare a sè.

F.A. _ Un titolo perfetto, che la dice lunga. Ma come mai il gruppo prendeva avvio proprio in quella fine anni settanta?

M.G. Vivere gli anni settanta è stata per molte donne, in Italia e non solo, l’esperienza più significativa della vita. Certo, faceva differenza avere venti o trenta o più primavere, però per tutte la consapevolezza di essere protagoniste di un cambiamento radicale nella mentalità e nel costume era netta. Scoprire che la tua storia non era solo individuale ma per molti aspetti condivisa da altre, cominciare a vedere che l’insoddisfazione, l’insofferenza alla routine, il senso di ribellione al ‘dovere’ imposto non erano ‘capricci’ ma fondavano su disparità e pregiudizio, stimolava alla riflessione e al confronto in piccoli nuclei di ‘autocoscienza’, prima fra amiche, poi fra colleghe, e fra artiste, scrittrici, poete. Il momento politico favorevole, con le leggi conquistate nel corso di quegli anni, confermava la validità di posizioni anche radicali, con l’affermazione del separatismo che sanciva il riconoscimento della differenza fra uomo e donna. Scoprivamo che si poteva scrivere un romanzo di formazione femminile nuovo, non scontato in partenza.

F.A. _ Ivana, possiamo allora dire che il Dars si pone come gruppo femminista?

I.B. _ Non credo sia il termine esatto, meglio direi che è un gruppo di lavoro femminile, con confronti, aperture e tanto lavoro. Ma il progetto, l’intento e la visione che pone l’accento sulla discriminazione di genere richiamano il femminismo. Anche i modi in fondo che abbiamo di riunirci… mi fai ricordare per dire gli anni con Isabella, quando ci si incontrava da lei… era bellissimo. Salivamo nel suo studio, una volta la settimana… ogni quindici giorni, tutte intorno a quel lungo tavolo… E lei era in cima e sullo sfondo aveva un suo quadro, che ritraeva un gruppo di donne a un tavolo. Quel quadro era il Dars, non ritraeva noi, ma eravamo noi e si intitolava Amiche. Meraviglioso. Si stava ore a sviluppare idee e renderle praticabili e da lì sono uscite tante cose che hanno preso consistenza tra la gente.

F.A. _ Se per Ivana sappiamo quando e con cosa è iniziata la sua adesione al Dars, per te Marina come è andata?

M.G. _ Per me è stata la scuola a dare il primo impulso, con alcune colleghe che già avevano intrapresa la via femminista, prime fra tutte Ivana Bonelli, appunto, e Mariolina Meiorin. Le avrei ritrovate più avanti nel Dars, questo gruppo di cui si parlava come del portavoce dell’idea della necessità di esprimere un tratto ‘di genere’ nelle arti. Entrai in contatto con il Dars verso la fine degli anni ottanta, quando, nel 1986, visitai la mostra di grande impatto emotivo “Matrimonio nella torre”. Non ci fu un seguito immediato ma qualche anno dopo (1993) fui invitata a far parte di un gruppo di insegnanti coordinato dal Dars in cui si sarebbe dibattuto di “donna e guerra” (credo in virtù del mio libro per la scuola Il segno della vipera (1991), improntato a una lettura di genere). Poi non se ne fece niente, ma intanto si ponevano le basi per un mio ingresso nel Comitato, prima con una collaborazione per gli Atti del Convegno “Corpi Hardware, corpi software, corpi package, corpi trash” (1997), poi in modo formale nel 1999.

F.A. _ I passi furono lenti, ma il Dars faceva presa nella società e nella cultura? C’era continuità nel gruppo?

M.G. _ Non deve stupire la lentezza dei passi: il Comitato Dars era molto seguito dalle donne impegnate soprattutto nelle arti figurative, ma piuttosto elitario nella direzione. Solo quando Isabella Deganis, già presidente dal 1991, decise di rifondare il gruppo e di aprirlo alla partecipazione di nuove voci ci fu l’adesione piena e convinta mia e di altre. Non tutte quelle che entrarono ufficialmente nel Comitato riconfermarono nel tempo la loro presenza, avvicendamenti vari, purtroppo perdite e divergenze anche dolorose si verificarono inevitabilmente, ma il nucleo formato da Isabella presidente, Giuditta Dessy vicepresidente, Gina Morandini, Ivana Bonelli, Maria Tore e me, in seguito anche Renza Moreale e Giulia Rinaldi, coadiuvate di volta in volta da apporti esterni di prestigio, resse per diversi anni e continuò a proporre interessanti iniziative, nella linea della continuità degli obiettivi ma secondo le caratteristiche peculiari delle nuove componenti.

F.A. _ In calce a questa intervista, vorrei pubblicare il lavoro del Dars così come nella puntuale ricostruzione operata da Marina e aggiornata da Lucrezia Armano, attuale presidente del gruppo. Notavo un nuovo impegno poetico e letterario rispetto all’arte figurativa negli anni che dici, quelli in cui Isabella fu presidente

M.G. _ In effetti il gruppo si presentava ora interessato alla letteratura e alla poesia in modo più incisivo rispetto al passato, sempre comunque in simbiosi con l’espressione figurativa. Numerose iniziative che privilegiavano la poesia si susseguirono con regolarità: “Preferisco la terra in borghese” (2001), “Dove sognano i nostri sogni” (2002) “La tela della madre immaginaria (2003), la rappresentazione scenica di un mio poemetto, Voci dal campo di Drepano, sul tema dell’emigrazione (in collaborazione con le Donne in Nero di Udine). Inoltre Isabella, sempre sensibile alla poesia, accolse subito, senza esitazioni, l’idea di Aldina De Stefano e mia di inaugurare una collana di poesia, “Quaderni del DARS” per promuovere un Concorso di Poesia femminile a livello internazionale, nel nome di una eccellente poeta, Elsa Buiese, per la quale venne realizzato un testo critico, Parole incompiuti segni, presentato in occasione della prima edizione del Premio (2001), Premio che si reiterò fino al 2015 e che fece conoscere sia il Dars che Elsa Buiese a centinaia di partecipanti alle varie edizioni del Premio, e mise il Comitato in contatto con realtà femminili organizzate presenti in varie città (FI, RM, MI, BO). Comportò anche l’attuazione di una notevole impresa editoriale con libri di raffinata fattura che continuò a comprendere i classici cataloghi delle mostre a tema, allestite annualmente, sempre curati dalla sapiente mano di Isabella, dove le parole delle scrittrici accompagnavano le immagini delle artiste: “Nasceremorirenasceremorirenascere” (2005), “Solitudini” (2006), e si aprì anche a due volumi di ricerca antropologica (collana “Archivio”, 2008 e 2015) a cura mia.

F.A. _ Tutto questo lavoro ha significato molto e va ricordato

M.G. _ Tutto questo e altro, come il ricco Convegno su “Maestre del Novecento” (2009) o l’allestimento della mostra “Oltris” di Tito Maniacco (2009), non si sarebbe potuto realizzare se fossero mancate collaborazione e impegno costanti fra le componenti del gruppo, soprattutto se non ci fosse stata intesa profonda in particolare fra Isabella, Gina Morandini e me. Gina è stata la saggia e ispirata tessitrice di amicizia, di passione creativa e di capacità organizzativa, facendo sì che le istanze di ciascuna si concretizzassero in un disegno comune, e solo questa base, insieme alla generosità di Lucrezia Armano che ci ha liberate dalle problematiche burocratiche assumendosi il peso giuridico del Comitato con Giuditta Dessy, ha potuto far perdurare il Comitato dopo la scomparsa imprevedibile e traumatica di Isabella. In seguito, presidente Giuditta e vice la sottoscritta (fino al 2016), si è pensato di potenziare ulteriormente la collaborazione stretta fra arte e poesia con la Rassegna di libri d’artista rivolta ai giovani “Come un racconto”, già approvata da Isabella su forte istanza di Gina, che di libri d’artista aveva grande esperienza, e a lei a quel punto dedicata (2012), e con l’avvio di un nuovo progetto editoriale di collaborazione fra artiste e poete denominato “Sintonie”, per il quale venne creata l’elegante collana “Le Darsine” (dal 2013 in poi).

F.A. _ Scusa Ivana, precisiamo una cosa: diffusamente è “Il DARS”, ma c’è chi dice “LA DARS”. Trovo poi scritto DARS, D.A.R.S. o ancora Dars. Una volta per tutte come dobbiamo chiamare e scrivere il gruppo?

I.B. _ La DARS era così chiamato per esempio da Dora Bassi, lo ricordo bene, che traeva il femminile dall’incipit dell’acronimo: Donna. Oggi è più diffusamente chiamato Il Dars, sottintendendo il termine ‘Comitato’ che indica la forma giuridica del gruppo. Nel tempo, è vero, lo abbiamo scritto in diversi modi. Nello statuto è D.A.R.S., ma poi si semplifica in DARS … oggi scriviamo correntemente Dars…

F.A. _ D’altronde poche cose rimangono ferme in 40 anni e noi abbiamo chiarito la piccola questione: diciamo allora che “il Dars” ha una lunga storia. Marina, i suoi punti fermi?

M.G. _ Promuovere la soggettività femminile, nei primi tempi in funzione difensiva, dato che si trattava di prendere atto della disparità di opportunità fra uomo e donna e di tentare di colmarla, riservando lo spazio pubblico disponibile a sole donne; in seguito in funzione propositiva, nel senso che il gruppo, mantenendo la direzione e gestione degli eventi, sceglieva anche fra gli uomini quelli ritenuti idonei ai fini prefissati per la realizzazione dei progetti.

− Avvicinare possibilmente altre donne, specie se più giovani, interessate all’arte (qualunque arte) per creare una generazione consapevole dei diversi percorsi delle donne nella storia e nella cultura.
− Mantenere la visione interdisciplinare nella realizzazione di eventi a tema, scelti collegialmente nel gruppo.
− Coltivare relazioni e collaborazioni con altre associazioni locali culturali di donne, come le Donne in Nero di Udine, la SIL (Società Italiana delle Letterate) regionale, il Gruppo Anna Achmatova.
− Porre attenzione al linguaggio, inteso come espressione sociale e quindi interprete dei rapporti di potere esistenti.

F.A. _ Una iniziativa Ivana che ricordi tra tutte.

I.B. _ Potrei raccontartene tante, ma una mi sta particolarmente a cuore per la sua attualità e anche Marina l’ha ricordata. Eravamo 35 anni fa e Mariolina Maiorin, di cui non ti sto a dire -c’è un libro su di lei- già cercava confidenza con il mondo informatico. Ci dividemmo i compiti e a me l’estate toccò leggere i libri di Harmony. Dovevo estrarre i 10 profili ricorrenti delle donne, che naturalmente risultarono tutte derelitte, orfane (soprattutto di mamma), poverissime ecc… e i 10 profili ricorrenti dei maschi, che invece erano tutti bellissimi, affermatissimi socialmente e con una qualche divisa, medici, aviatori ecc… Poi avevo estratto le tipologie d’incontro, come avveniva, cosa accadeva. Grazie a Mariolina, pensa che eravamo nell’86, nella torre in Via Zanon avevamo collocato questo grande computer che tabulava le storie raccolte che venivano poi scelte e rimescolate dal pubblico per costruire storie nuove. Era divertentissimo. Ma sai quale era il gioco? Tu qualsiasi scelta facessi, come comunque mescolassi le carte, pur in queste costruzioni tecnologiche, a computer, quindi “evolute”, moderne, il finale per le donne era sempre quello. Il destino delle donne, comunque tu la girassi, era segnato. L’obiettivo era mettere in luce questo e prenderne coscienza per pensare diversamente.

F.A. _ Splendido, che situazione era?

I.B. Eravamo alla prima Biennale Internazionale del Dars, nel Museo della città, in Via Zanon, e il titolo era Matrimonio nella torre. Realizzammo anche un video che fu poi presentato a Bologna e a Parigi, con l’organizzazione di un pubblico dibattito, sempre nel 1986.